martedì 24 marzo 2009

North Star Deserter

Disgraziate situazioni lavorative, e dobbiamo percorrere in totale 280 Km per vederlo.
Andata.
Ritorno.
Io, Mr. Calo e la CA.GA 700 persi e dispersi nel buio delle higways milanesi.
Arrivati a Milano ci facciamo una pizza con Natalia e Filippo e ci avviamo con loro verso il Magnolia, oasi musicale metropolitana adagiata di fronte a un impolverato Luna Park che al Calo ricorda Coney Island, a me Stephenkinghiani racconti di pagliacci assassini.
Entriamo nel locale e ce lo troviamo davanti, Vic Chesnutt, e a vederlo da vicino è impressionante quanto sia minuscolo...gracile e contorto che pare un tronco d'albero spaccato dal fulmine.
Mentre ascoltiamo gli Elf Power fare il loro onesto lavoro di apripista, Vic si intrattiene amabilmente con Filippo, il quale forte del suo rapace istinto da Lester Bangs riesce a strappargli svariati minuti di umanità che condividerà con noi a fine concerto.
Si inizia, come da copione, con Mistery, e si finisce con una bellissima versione di Everybody Hurts, sentito omaggio all'amico e mecenate Michael Stipe.
Difficile descrivere il calore, la fragilità, la potenza...l'enormità, insomma.
Non ci provo nemmeno.
Ripartiamo, correggiamo la rotta un paio di volte, arriviamo ad Acqui alle 3:04 a.m.
Disgraziate situazioni esistenziali, e io non dormo da un mese.
Naturalmente oggi ho un aspetto orribile, lo sbadiglio incontrollato, 3 metri di borse sotto gli occhi.
La prima strofa di Warm, ancora nello stomaco.
E ho detto tutto.
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lunedì 23 marzo 2009

Ossi di Luna

Sarà perchè ho finito da poco Bolano e l'istinto del paragone, se pur su intenti letterari così diversi, esige la sua vittima sacrificale.
Sarà perchè ho sempre detestato, in letteratura come nella vita reale, le facili autogiustificazioni morali ( "ti ho ferito ma l'ho fatto per il tuo bene", " ti lascio perchè non ti merito", "ti abbandono nella merda perchè non posso fare altro"...).
Sarà perchè detesto anche, in letteratura come nella vita reale, la superficiale inadeguatezza del punto di vista...la supponenza del peccatore che, per sua fortuna, non si troverà mai a poter commettere il peccato di cui parla.
O solo perchè ancora mi piace provare il gusto della folgorazione quando nel racconto, dopo pagine e pagine di lettura appassionata, mi viene svelato quello che dovrebbe essere un vero mistero...
Sia come sia, Ossi di Luna, di Jonathan Carroll, è stato una lettura deludente.
Ho comprato questo libro a caso, alla fiera di Torino, perchè:
1. La copertina e il titolo erano belli.
2. Terry Gilliam (che adoro) è suo grande fan, e sul retro, Stephen King e alcuni altri critici si sbrodolavano in complimenti di vario genere..."terrificante", "immaginifico", "spettacolo di magia", il fantasy come non l'avete mai letto...etc...etc...
Ora, riconosco che la comparazione tra Carroll, che fa narrativa di puro intrattenimento, e uno scrittore della taratura di Bolano, è vile e inopportuna, ma la realtà è che non considero Ossi di Luna nemmeno una valida alternativa agli intrighi massonico-clericali di Dan Brown o all'intensità terrorifica suscitata da Alice nel Paese delle Meraviglie.
Dove sono, insomma, l'originalità, la sorpresa, l'incanto narrativo, se dopo la prima ventina di pagine, avevo già capito dove l'autore voleva andare a parare, identificato le doppie chiavi di lettura di tutti i personaggi, e intuito che il punto di arrivo sarebbe stato un fastidioso climax di catartica assoluzione per la (perfetta fin quasi alla nausea) protagonista?!
Non bastano la creazione del Ragazzo Mannaia, di Jack Chili, dei Pesci Yasmuda, a rendere avvincenti le vicende narrate...non basta un'invenzione, se pur brillante, a rendere credibile un intero inventato.
Mi chiedo, quindi: perchè diavolo Terry Gilliam e Stephen King hanno trovato l'universo di Carroll così stupefacente?!!
Mi rispondo:
- forse ho frainteso qualcosa e questo romanzo non è così banale come sembra.
- forse sono intelligentissima e non l'ho mai saputo.
- forse loro erano strafatti di peyote quando l' hanno letto.

Traete voi le vostre conclusioni, io, naturalmente, vado a mettermi in coda per il Nobel.
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mercoledì 4 marzo 2009

Errata Corrige


Eh, si, ci sono cascata anch'io.
Anestetizzata ormai dalla quantità immane di figure di merda a cui Berlusconi ci ha abituati nel corso degli anni, ho subito prese per buone le parole del presentatore di Canal Plus che mal interpretandone il labiale lo rende impietoso oggetto di scherno e derisione agli occhi del mondo intero.
Ma ecco, dimostrando un' incredibile padronanza nell'esercizio della dialettica socratica, il Premier ha subito smascherato la malafede del sedicente giornalista capovolgendo l'antitesi nel paradosso, e portando alla mercè di tutti la cristallina verità:
lui non ha mai detto "ti ho dato la tua donna", ma bensì "ho studiato alla Sorbona".

Berlusconi, quindi, come Richelieu, Marie Curie, Honorè de Balzac e Giuseppe Ungaretti.
Che dire...
Un battutista nato.
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I Deserti di Sonora

"La preghiera delle ossa.
L'anelito della salute.
La virtù del pericolo.
La forza dei dimenticati
I limiti della memoria.
La sagacia delle piante.
L'occhio dei parassiti.
L'agilità della terra.
Il merito del soldato.
L'astuzia del gigante.
Il buco della volontà."

A mio avviso 11 buoni motivi ( ve ne sono molti altri, in realtà ), per leggere "I Detective Selvaggi", di Roberto Bolano (Santiago del Cile, 28 aprile 1953 – Barcellona, 14 luglio 2003) , edito da Sellerio.

La storia, in breve, è quella dei due poeti-detective del titolo e del viaggio che intraprendono attraverso l'America Latina, alla ricerca di Cesarea Tinajero (fondatrice dell'immaginaria avanguardia poetica di cui fanno parte, il "realvisceralismo").
Lunghissimo, diviso in 3 parti, mentre nella prima parte sembra essere "solo" un più che godibile romanzo generazionale, dalla seconda in poi si trasforma in qualcosa di completamente diverso.
Dopo la rocambolesca partenza dei due poeti da Città del Messico, Bolano frantuma violentemente il filo della narrazione e sovrappone, a quelle dei protagonisti, le voci del gran numero di personaggi che hanno avuto a che fare con loro nei vent'anni successivi, generando un senso di sorpresa e rivelazione simile (mi piace immaginare) al getto d'acqua fredda sulla faccia di Helen Keller nel film Anna dei Miracoli.
La trama principale si destruttura e si moltiplica in decine di sottotrame ugualmente importanti, che ruotano attorno a storie di architetti internati in manicomio e prostitute bambine, screanzati editori senz’arte né parte e sprovveduti prigionieri nelle carceri israeliane, fantasmi di poetesse morte adolescenti e tristi fotoreporter persi nella guerriglia Liberiana, intrepidi critici letterari sfidati a duello e marinai accampati in città-dormitorio nelle grotte della Francia occitana...
Voci costrette ad un gioco delle parti in cui, all'improvviso, gli indagatori diventano ( malamente ) indagati.
Voci scomposte ed egocentriche, che usano i racconti sui due poeti per spostare il soggetto narrativo su sè stesse, prepotentemente chiedendo e ottenendo un ruolo da protagoniste all’interno dell’ ”indefettibile" commedia (o tragicommedia) umana, nello stesso modo in cui potrebbe chiederlo e ottenerlo la mia voce, o quella del mio vicino di casa, o quella altrettanto autorevole del mio cane.
Così, lentamente, il generazionale diventa universale, e Bolano, non pago dei già molti strumenti linguistici offerti dalla prosa, prendendo a prestito dalla poesia la potenza evocativa, l'irresistibile musicalità metrica, compone l'universalità in un romanzo surreale e biografico, raffinatamente colto e ironico, commovente e mai ruffiano, che richiede, per lunghezza e intensità, dedizione mentale assoluta e una buona dose di fatica fisica, ma regala in cambio la certezza finale di non averle sprecate.

E non è poco.

Metteteci mesi, anni anche,ma leggetelo, se potete.

Io, dal canto mio, avessi abbastanza coraggio, abbastanza sfacciataggine, o più semplicemente abbastanza fiducia nella gente, smetterei di vendere cubi di cemento e aprirei un locale dipinto di azzurro con una finestra affacciata su un lenzuolo steso, dove riuscire finalmente a ridurre la distanza tra l'attesa e la vita.

Probabilmente, lo chiamerei Los Calamares Felices.
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