sabato 14 agosto 2010

Unità di Misura

Se il peso dell'anima (almeno secondo un illustre cerusico americano) è di 21 grammi, con quali e quante unità di misura si calcola il peso dell'assenza?
Pancia, che ha accompagnato senza mai farsi distanziare gli ultimi 13 anni della mia vita, è morto ieri sera. Pesava 13 Kg e qualche grammo, anima compresa.
Oggi, il mio panoramico alloggio di 120 metri quadri, è uno spazio a tratti accartocciato e asfittico, a tratti sconfinato e sconfinatamente silenzioso. In una parola, invivibile. Esattamente come il quadrato esterno di strade e sterpaglie che delimita l'area delle sue passeggiate quotidiane.
Ecco, dunque, l'assenza per me oggi pesa 120 metri quadri al quadrato moltiplicati per 13 Kg e 4745 giorni (forse qualche giorno in più, per via degli anni bisestili).
Sarà tanto? Sarà poco? E quale incidenza ha in termini matematici la qualità emotiva dell'esperienza vissuta con lui?
Provo a far di conto, ma non ne vengo a capo, non sono mai stata brava con i numeri.
Provo allora a dire un nome a voce alta restando in ascolto, a tendere una mano sotto il tavolo, ad annusare l'aria attorno. Banalmente, vien fuori che in alcuni casi il peso dell'assenza, qualunque unità di misura si utilizzi, è comunque troppo. Altrettanto banalmente, non è necessario un contabile per stabilirlo.
Au revoir, bestiolino.

venerdì 16 luglio 2010

I Bassifondi

Ogni città, per quanto insignificante, possiede i suoi comodi, personali bassifondi.
E se non li possedesse farebbe di tutto per inventarseli, col bisogno che ne ha.

C'è questa via, nella mia città, una via polverosa, di confine.
Nell'immaginario collettivo ha assunto le sembianze di un bozzolo malavitoso e alieno da cui fuoriescono tutti i mali e i reati che la città, tranquilla e borghese com'è, mai si è sognata di commettere con tanta sfacciataggine.
La gente, in questa via, non ci viene volentieri la notte. Di vendere appartamenti qui, non se ne parla...tu ci provi, ti danni l'anima inventando aggettivi superlativi sempre più superlativi, aggiungendo un EXTRA- di qua, un -ISSIMO di là, lanciandoti in disperate ricerche sinonimiche sul fidato De Mauro, dando fondo a tutte le tue doti grafiche per rivestire i cartelli immobiliari di una patina sempre più sciropposa e attraente...
Niente.
Come dicevano gli Svizzeri ai bei tempi (quando ancora si lasciavano gabbare docilmente da noi geni indiscussi dello stacco-prezzo), nell'acquisto di una casa solo 3 cose sono importanti: il posto, il posto, e il posto.
Dunque, nel caso specifico, commerciare immobili in questa via è come cercare di vendere una reggia lastricata d'oro adagiata al centro di un mare di merda con vista panoramica su un allevamento di maiali messicani.
Hai voglia a infiorare balconi e a ridipingere facciate...l'odore, quello, che sia vero, inventato o solo esagerato, mica lo puoi mandare via.
Per puro caso, questa via polverosa e grufolante, è il posto dove da 5 anni passo i 3/4 della mia misera vita impiegatizia.
Dalla scrivania affacciata sul pericolo, ogni 2-3 mesi assisto assieme alla gente del vicinato all'abituale maxi retata volta a conquistare i polsi dell'abituale spacciatore o truffatore o trafficatore di chissàcosa...
Sempre loro, gli sbirri, i procuratori, i fulgidi CSI della provincia, sempre lui, il padrone dei polsi. Sempre lui non in senso lato, ma proprio in senso biologico e anagrafico! Fatto e finito col suo nome e cognome, arrivano, se lo portano, e in capo a qualche mese è dinuovo tra noi...una roba che pare il brutto loop del Giorno della Marmotta!
Come si fa a credere che sia tutto vero?!
Soprattutto in una città dove la morte ti si piglia quasi solo per vecchiaia, malattia o incidente stradale.
E infatti, ogni volta che sento le sirene spiegate delle volanti, ogni volta che le vedo sfrecciare come proiettili davanti all'ufficio per inchiodare 10 metri più su, rischiando di incorporare all'asfalto pezzi sparsi di incauti passanti, mi ritrovo a pensare che no, quello là fuori non è il mondo reale, ma una bella sparatoria sul set cartonato di un gangster-movie di Scorsese.
Rifuggo in maniera perentoria l'idea che una delinquenza che necessiti di un tale squadrone di graduati ululanti per essere estirpata, la si trovi anche qui, nella mia città di 20.000 anime, dove la notte è sempre stata solo delle passeggiate in solitaria ai giardini del Castello e delle foto ai gatti randagi del Duomo.
Ora, volete farmi credere che anche qui la notte bisognerà uscire in branco o non uscire affatto?!
Ma perfavore!
"Il padrone dei polsi" dice calmo il mio capo dopo aver ascoltato con attenzione rassegnata la mia invettiva contro le esagerazioni dei benpensanti,
"ha appena accoltellato un suo collega di spaccio la cui madre, tra parentesi, è stata arrestata in Marocco il mese scorso per traffico internazionale di armi."
"Ah."
Devo ammettere che questo non me lo aspettavo, cazzo.
Non che mi convinca, comunque, ma convince di sicuro la città, che ha finalmente trovato i piccoli, sicuri bassifondi cui guardare per darsi un tono di rispettabile alterità da essi.
Ai miei occhi ostinatamente aperti sulle sproporzioni, questo episodio rimane la classica eccezione a conferma di quel "quasi solo per malattia..."
Ciò nonostante, in momenti come questo, mi assale il dubbio di essere forse un tantino sprovveduta.
Mi rendo conto con dolore della lentezza refrattaria con cui la mia mente afferra i cambiamenti dell'universo sociale che la circonda.
Di colpo sento di essere affetta da una perfetta, irrinunciabile e anacronistica ingenuità morale, e mi diviene chiaro, senza possibilità di dubbio, che se vivessi in una qualunque metropoli del resto del mondo mi trasformerei in cadavere ancor prima di aver capito dove sta il carrello della spesa ai Grandi Magazzini del quartiere.

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venerdì 25 dicembre 2009

It's ok,you can quit today...

Quest'anno, sotto l'albero, 7 regali meno uno.
Good night, little fucker.

giovedì 5 novembre 2009

Ganbarimasu!!

Oh beh...pare che da oggi io sia a tutti gli effetti una studentessa di lingua e cultura giapponese.
Questo dovrebbe voler dire che la tanto odiata Legge dell'Ormai, incubo e mannaia umorale di tanti sventurati post-trentenni, in realtà è una bufala colossale creata a motivo e scopo di un imperdonabile autoinganno: se nel vivere sbaglio binari, tempi, modi, distanze, sono io che pago; ma se nel distribuire i dettami del percorso sbaglia la vita, alla fine sono sempre io che devo restituirmi il maltolto.
Tanto vale farlo.
Molti auguri a me.

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mercoledì 26 agosto 2009

Anniversario

Quando il tronco si spezzò sotto i miei piedi,
nè l'amore nè l'equilibrio furono sufficienti,
potei solo cadere.
Ma dal modo in cui cadi puoi decidere la vita delle cose che ti circondano.
Io caddi lentamente, trascinando con me i campi di meliga e il torrente e la mia canna da pesca e la luce negli occhi di mia moglie.
Caddi senza freno, con le braccia spalancate e un sorriso riconoscente.
Ora riposo nella fatica di mio figlio.
E mia figlia si ricorda di me.

martedì 7 luglio 2009

A season to everything




A volte capitano cose che nell'economia di un'intera esistenza possono sembrare insignificanti, ma che (contro ogni logica) ti fanno pensare, anche se solo per 2 ore, di essere stato baciato da una buona stella.
A volte, per giunta, capitano quando ne hai davvero tanto bisogno.
Arriviamo ad Asti, io e mio fratello, in tempo per mangiarci una pizza vicino a Piazza della Cattedrale; in un trionfo di sobrietà culinaria, lui si fa una bufala con salamino piccante, io opto per una prosciutto crudo e ananas.
Quando usciamo dalla pizzeria, già si intravede stampata nell'aria l'impronta del disastro, ma noi coraggiosi ascoltatori di concerti non vi badiamo, e ci dirigiamo verso il palco accompagnati dalle prime gocce di pioggia, che però, forse infastidite dalla nostra indifferenza, presto si tramutano in un inferno scrosciante contrappunto di lampi, tuoni, fulmini e sferzate di vento a 3000 nodi orari.
A questo punto mio fratello si dichiara soddisfatto della serata (le 3 canzoni di Ettore Giuradei, in apertura, lo hanno, per dirla in maniera pertinente al quadro ambientale, folgorato!) e abbandona il campo da gioco, mentre io rimango sola e buonina sotto gli archi a sesto acuto del Portale Pelletta, assieme a una sparuta compagnia di fans in trepida attesa.
Ora, come ben saprete, di solito in ogni situazione critica c'è sempre almeno un coglione in aria di tentare la buona sorte...il tipo d'uomo che in mezzo a 50 persone pigiate negli unici 10 mq di copertura dell'isolato, se ne esce ad esempio con la frase: "eh, certo che se il vento cambia direzione son cazzi x tutti!!".
Dopo 5 minuti, inevitabilmente bagnati come pulcini, stiamo ancora aspettando notizie dall'Alto, che puntualmente arrivano sotto forma di emissario del Dio del Rock, il quale, preso a compassione, decide di ripagare la nostra caparbietà con un regalo inaspettato...
"Niente rimborso" dice l'emissario del Dio del Rock "il concerto si fa dentro"
"dentro DOVE?" chiediamo noi perplessi, già immaginandoci l'espressione sconvolta del Crocefisso dell'Altar Maggiore sull'assolo di Eight Miles High.
"SEGUITEMI" risponde misterioso lui.
DENTRO,ovviamente e purtroppo, non è l'interno della Chiesa, ma uno stanzino da oratorio nel retro della sagrestia, sporco, desolato, impregnato di un tasso di umidità del 120%, nel quale dopo qualche gomitata e una sediata sugli stinchi, riesco a conquistare l'abituale posizione proibitiva, in piedi, dietro al solito tarantolato che si sposta in continuazione ostruendomi la visuale, ma abbastanza vicino da permettere all'amata fuji di conservare un ricordo indelebile di quelle due ore preziose.
Roger McGuinn arriva quasi subito.
Ha l'aria di pensare che abbiamo aspettato abbastanza e il sorriso sornione di chi ha voglia di farci sapere che non l'abbiamo fatto invano.
Pare sia stato lui a suggerire agli organizzatori di spostare lì il concerto...del resto la generosità, a un artista, non la insegni...
Lascio alla Fuji e alla sua video-testimonianza, il compito di descrivere l'indescrivibile, perchè in effetti, dal momento in cui McGuinn è entrato in quello stanzino, si è seduto su quella sedia scalcagnata, e ha posato le dita su quelle 7 corde, io non ci ho capito più granchè.
Quando sono uscita, fuori pioveva ancora. Ferma, nella piazza, ho chiuso gli occhi un attimo, come l'ospite di Carver che guida la mano del cieco a disegnare i contrafforti della Cattedrale mentre la mano del cieco lo guida a spingerli verso l'indefinito.
Aveva ragione Carver, naturalmente.
Non c'è bisogno di riaprirli per sapere che sei appena stato parte di qualcosa di grandioso.
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venerdì 5 giugno 2009

Lo stato delle cose

Lo stato delle cose ti coglie quasi sempre senza preavviso.
Il dado lanciato si ferma, la sua faccia porta inciso su di sè il prezzo della comprensione, limpida e violenta. Come la fine, sempre irreversibile.
Lo stato delle cose è la resa del cambiamento, il dormiveglia del coraggio, lo spettacolo del burattino che inciampa sempre nello stesso filo.
E' la cenere negli occhi, la parte di colpa altrui che pesa sulle tue spalle, la nemesi dei tuoi sbagli pagati sempre senza sconto.
Ed è il ragno che pur di non uscire dal buco muore di fame, è il folle che urla in faccia al diavolo sulla collina e non vede, e non sente, dietro di sè, la mano che gli accarezza la nuca, è il vigliacco che si chiude dentro la scatola e punta il dito contro la prigione della vita.
E' la parola senza il suo dispiegarsi, il muscolo atrofico del velocista, l'anarchico senza la sua bomba e il finto anarchico che predica rispetto col fucile puntato sul vicino di casa.
Lo stato delle cose è il viaggio di Don Chisciotte, il sottosuolo dei ricordi, la confessione della maschera, il giaguaro nel carcere dove il mago della piramide di Qaholom aspetta l'arrivo della fine.
E' l'attesa inerte del debole per un miracolo che non ha cercato, che non ha inseguito, per cui non ha lottato, che non ha costruito con la fatica delle sue mani.
Che non merita.
Il miracolo ingiusto che comunque, puntualmente, arriva.
Lo stato delle cose è il valore del tempo che ti viene rubato, perversa contraffazione del sentirsi vivere, del sapersi assieme, finzione egocentrica dell'amare, abbandono annunciato.

Lo stato delle cose sono io, io soltanto, che conto le macchie del giaguaro affacciata al balcone.

Lo stato delle cose, qualunque cosa tu faccia, quasi sempre senza preavviso, ti coglie.
Ancora.
E ancora.
E ancora.
E ancora...
Non c'è giustizia nè morte che possa fermarlo.
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giovedì 21 maggio 2009

Un Libro Al Giorno

Mi chiedo se il tempo, inteso come possesso di uno scorrere che sia solo tuo, che non tradisca le aspettative e che non possa esserti sottratto a forza dalla casualità della vita, sia semplicemente una portata in più nel cestino da picnic che ti forniscono alla nascita, o se sia qualcosa su cui possiamo avere il pur minimo potere decisionale.
Nel mio passato di accanita lettrice-bambina, poche immagini mi hanno spaventata tanto come la caccia notturna dei Signori Grigi di Michael Ende, cinerei spettri che se ne andavano in giro avvolti nel fumo dei loro sigari-vita rubando agli uomini tutto il loro tempo.
Ho provato una sensazione simile domenica scorsa, quando in un servizio sul salone del libro di Torino, un giornalista ha dato voce ad alcuni giovani imprenditori che propagandavano un corso finalizzato a insegnare alla gente a "leggere velocemente".
Fino a un libro al giorno, addirittura!!!
Il tutto mentre io, con studiata e goduta lentezza, preparavo luculliani pasti a base di pentolate di ragù, teglie di lasagne e vassoi di sarde a beccafico da conservare nel freezer per giorni migliori.
Mi sono venuti i brividi.
D'altronde può essere che nonostante l'aberrazione semantica (leggere velocemente?!!!), questi aspiranti gestori del tempo altrui non stiano affatto sprecando il loro.
Io, invece, come ho brutalmente scoperto qualche ora fa, domenica ho cucinato 8 ore per qualcuno che non accompagnerà più nessuno dei miei pranzi domenicali, nessuna delle mie cene settimanali.
Il sigaro, intanto, si è consumato un altro po'.
Decisamente ho sbagliato qualcosa.
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martedì 24 marzo 2009

North Star Deserter

Disgraziate situazioni lavorative, e dobbiamo percorrere in totale 280 Km per vederlo.
Andata.
Ritorno.
Io, Mr. Calo e la CA.GA 700 persi e dispersi nel buio delle higways milanesi.
Arrivati a Milano ci facciamo una pizza con Natalia e Filippo e ci avviamo con loro verso il Magnolia, oasi musicale metropolitana adagiata di fronte a un impolverato Luna Park che al Calo ricorda Coney Island, a me Stephenkinghiani racconti di pagliacci assassini.
Entriamo nel locale e ce lo troviamo davanti, Vic Chesnutt, e a vederlo da vicino è impressionante quanto sia minuscolo...gracile e contorto che pare un tronco d'albero spaccato dal fulmine.
Mentre ascoltiamo gli Elf Power fare il loro onesto lavoro di apripista, Vic si intrattiene amabilmente con Filippo, il quale forte del suo rapace istinto da Lester Bangs riesce a strappargli svariati minuti di umanità che condividerà con noi a fine concerto.
Si inizia, come da copione, con Mistery, e si finisce con una bellissima versione di Everybody Hurts, sentito omaggio all'amico e mecenate Michael Stipe.
Difficile descrivere il calore, la fragilità, la potenza...l'enormità, insomma.
Non ci provo nemmeno.
Ripartiamo, correggiamo la rotta un paio di volte, arriviamo ad Acqui alle 3:04 a.m.
Disgraziate situazioni esistenziali, e io non dormo da un mese.
Naturalmente oggi ho un aspetto orribile, lo sbadiglio incontrollato, 3 metri di borse sotto gli occhi.
La prima strofa di Warm, ancora nello stomaco.
E ho detto tutto.
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lunedì 23 marzo 2009

Ossi di Luna

Sarà perchè ho finito da poco Bolano e l'istinto del paragone, se pur su intenti letterari così diversi, esige la sua vittima sacrificale.
Sarà perchè ho sempre detestato, in letteratura come nella vita reale, le facili autogiustificazioni morali ( "ti ho ferito ma l'ho fatto per il tuo bene", " ti lascio perchè non ti merito", "ti abbandono nella merda perchè non posso fare altro"...).
Sarà perchè detesto anche, in letteratura come nella vita reale, la superficiale inadeguatezza del punto di vista...la supponenza del peccatore che, per sua fortuna, non si troverà mai a poter commettere il peccato di cui parla.
O solo perchè ancora mi piace provare il gusto della folgorazione quando nel racconto, dopo pagine e pagine di lettura appassionata, mi viene svelato quello che dovrebbe essere un vero mistero...
Sia come sia, Ossi di Luna, di Jonathan Carroll, è stato una lettura deludente.
Ho comprato questo libro a caso, alla fiera di Torino, perchè:
1. La copertina e il titolo erano belli.
2. Terry Gilliam (che adoro) è suo grande fan, e sul retro, Stephen King e alcuni altri critici si sbrodolavano in complimenti di vario genere..."terrificante", "immaginifico", "spettacolo di magia", il fantasy come non l'avete mai letto...etc...etc...
Ora, riconosco che la comparazione tra Carroll, che fa narrativa di puro intrattenimento, e uno scrittore della taratura di Bolano, è vile e inopportuna, ma la realtà è che non considero Ossi di Luna nemmeno una valida alternativa agli intrighi massonico-clericali di Dan Brown o all'intensità terrorifica suscitata da Alice nel Paese delle Meraviglie.
Dove sono, insomma, l'originalità, la sorpresa, l'incanto narrativo, se dopo la prima ventina di pagine, avevo già capito dove l'autore voleva andare a parare, identificato le doppie chiavi di lettura di tutti i personaggi, e intuito che il punto di arrivo sarebbe stato un fastidioso climax di catartica assoluzione per la (perfetta fin quasi alla nausea) protagonista?!
Non bastano la creazione del Ragazzo Mannaia, di Jack Chili, dei Pesci Yasmuda, a rendere avvincenti le vicende narrate...non basta un'invenzione, se pur brillante, a rendere credibile un intero inventato.
Mi chiedo, quindi: perchè diavolo Terry Gilliam e Stephen King hanno trovato l'universo di Carroll così stupefacente?!!
Mi rispondo:
- forse ho frainteso qualcosa e questo romanzo non è così banale come sembra.
- forse sono intelligentissima e non l'ho mai saputo.
- forse loro erano strafatti di peyote quando l' hanno letto.

Traete voi le vostre conclusioni, io, naturalmente, vado a mettermi in coda per il Nobel.
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