venerdì 25 dicembre 2009

It's ok,you can quit today...

Quest'anno, sotto l'albero, 7 regali meno uno.
Good night, little fucker.

giovedì 5 novembre 2009

Ganbarimasu!!

Oh beh...pare che da oggi io sia a tutti gli effetti una studentessa di lingua e cultura giapponese.
Questo dovrebbe voler dire che la tanto odiata Legge dell'Ormai, incubo e mannaia umorale di tanti sventurati post-trentenni, in realtà è una bufala colossale creata a motivo e scopo di un imperdonabile autoinganno: se nel vivere sbaglio binari, tempi, modi, distanze, sono io che pago; ma se nel distribuire i dettami del percorso sbaglia la vita, alla fine sono sempre io che devo restituirmi il maltolto.
Tanto vale farlo.
Molti auguri a me.

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mercoledì 26 agosto 2009

Anniversario

Quando il tronco si spezzò sotto i miei piedi,
nè l'amore nè l'equilibrio furono sufficienti,
potei solo cadere.
Ma dal modo in cui cadi puoi decidere la vita delle cose che ti circondano.
Io caddi lentamente, trascinando con me i campi di meliga e il torrente e la mia canna da pesca e la luce negli occhi di mia moglie.
Caddi senza freno, con le braccia spalancate e un sorriso riconoscente.
Ora riposo nella fatica di mio figlio.
E mia figlia si ricorda di me.

martedì 7 luglio 2009

A season to everything




A volte capitano cose che nell'economia di un'intera esistenza possono sembrare insignificanti, ma che (contro ogni logica) ti fanno pensare, anche se solo per 2 ore, di essere stato baciato da una buona stella.
A volte, per giunta, capitano quando ne hai davvero tanto bisogno.
Arriviamo ad Asti, io e mio fratello, in tempo per mangiarci una pizza vicino a Piazza della Cattedrale; in un trionfo di sobrietà culinaria, lui si fa una bufala con salamino piccante, io opto per una prosciutto crudo e ananas.
Quando usciamo dalla pizzeria, già si intravede stampata nell'aria l'impronta del disastro, ma noi coraggiosi ascoltatori di concerti non vi badiamo, e ci dirigiamo verso il palco accompagnati dalle prime gocce di pioggia, che però, forse infastidite dalla nostra indifferenza, presto si tramutano in un inferno scrosciante contrappunto di lampi, tuoni, fulmini e sferzate di vento a 3000 nodi orari.
A questo punto mio fratello si dichiara soddisfatto della serata (le 3 canzoni di Ettore Giuradei, in apertura, lo hanno, per dirla in maniera pertinente al quadro ambientale, folgorato!) e abbandona il campo da gioco, mentre io rimango sola e buonina sotto gli archi a sesto acuto del Portale Pelletta, assieme a una sparuta compagnia di fans in trepida attesa.
Ora, come ben saprete, di solito in ogni situazione critica c'è sempre almeno un coglione in aria di tentare la buona sorte...il tipo d'uomo che in mezzo a 50 persone pigiate negli unici 10 mq di copertura dell'isolato, se ne esce ad esempio con la frase: "eh, certo che se il vento cambia direzione son cazzi x tutti!!".
Dopo 5 minuti, inevitabilmente bagnati come pulcini, stiamo ancora aspettando notizie dall'Alto, che puntualmente arrivano sotto forma di emissario del Dio del Rock, il quale, preso a compassione, decide di ripagare la nostra caparbietà con un regalo inaspettato...
"Niente rimborso" dice l'emissario del Dio del Rock "il concerto si fa dentro"
"dentro DOVE?" chiediamo noi perplessi, già immaginandoci l'espressione sconvolta del Crocefisso dell'Altar Maggiore sull'assolo di Eight Miles High.
"SEGUITEMI" risponde misterioso lui.
DENTRO,ovviamente e purtroppo, non è l'interno della Chiesa, ma uno stanzino da oratorio nel retro della sagrestia, sporco, desolato, impregnato di un tasso di umidità del 120%, nel quale dopo qualche gomitata e una sediata sugli stinchi, riesco a conquistare l'abituale posizione proibitiva, in piedi, dietro al solito tarantolato che si sposta in continuazione ostruendomi la visuale, ma abbastanza vicino da permettere all'amata fuji di conservare un ricordo indelebile di quelle due ore preziose.
Roger McGuinn arriva quasi subito.
Ha l'aria di pensare che abbiamo aspettato abbastanza e il sorriso sornione di chi ha voglia di farci sapere che non l'abbiamo fatto invano.
Pare sia stato lui a suggerire agli organizzatori di spostare lì il concerto...del resto la generosità, a un artista, non la insegni...
Lascio alla Fuji e alla sua video-testimonianza, il compito di descrivere l'indescrivibile, perchè in effetti, dal momento in cui McGuinn è entrato in quello stanzino, si è seduto su quella sedia scalcagnata, e ha posato le dita su quelle 7 corde, io non ci ho capito più granchè.
Quando sono uscita, fuori pioveva ancora. Ferma, nella piazza, ho chiuso gli occhi un attimo, come l'ospite di Carver che guida la mano del cieco a disegnare i contrafforti della Cattedrale mentre la mano del cieco lo guida a spingerli verso l'indefinito.
Aveva ragione Carver, naturalmente.
Non c'è bisogno di riaprirli per sapere che sei appena stato parte di qualcosa di grandioso.
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venerdì 5 giugno 2009

Lo stato delle cose

Lo stato delle cose ti coglie quasi sempre senza preavviso.
Il dado lanciato si ferma, la sua faccia porta inciso su di sè il prezzo della comprensione, limpida e violenta. Come la fine, sempre irreversibile.
Lo stato delle cose è la resa del cambiamento, il dormiveglia del coraggio, lo spettacolo del burattino che inciampa sempre nello stesso filo.
E' la cenere negli occhi, la parte di colpa altrui che pesa sulle tue spalle, la nemesi dei tuoi sbagli pagati sempre senza sconto.
Ed è il ragno che pur di non uscire dal buco muore di fame, è il folle che urla in faccia al diavolo sulla collina e non vede, e non sente, dietro di sè, la mano che gli accarezza la nuca, è il vigliacco che si chiude dentro la scatola e punta il dito contro la prigione della vita.
E' la parola senza il suo dispiegarsi, il muscolo atrofico del velocista, l'anarchico senza la sua bomba e il finto anarchico che predica rispetto col fucile puntato sul vicino di casa.
Lo stato delle cose è il viaggio di Don Chisciotte, il sottosuolo dei ricordi, la confessione della maschera, il giaguaro nel carcere dove il mago della piramide di Qaholom aspetta l'arrivo della fine.
E' l'attesa inerte del debole per un miracolo che non ha cercato, che non ha inseguito, per cui non ha lottato, che non ha costruito con la fatica delle sue mani.
Che non merita.
Il miracolo ingiusto che comunque, puntualmente, arriva.
Lo stato delle cose è il valore del tempo che ti viene rubato, perversa contraffazione del sentirsi vivere, del sapersi assieme, finzione egocentrica dell'amare, abbandono annunciato.

Lo stato delle cose sono io, io soltanto, che conto le macchie del giaguaro affacciata al balcone.

Lo stato delle cose, qualunque cosa tu faccia, quasi sempre senza preavviso, ti coglie.
Ancora.
E ancora.
E ancora.
E ancora...
Non c'è giustizia nè morte che possa fermarlo.
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giovedì 21 maggio 2009

Un Libro Al Giorno

Mi chiedo se il tempo, inteso come possesso di uno scorrere che sia solo tuo, che non tradisca le aspettative e che non possa esserti sottratto a forza dalla casualità della vita, sia semplicemente una portata in più nel cestino da picnic che ti forniscono alla nascita, o se sia qualcosa su cui possiamo avere il pur minimo potere decisionale.
Nel mio passato di accanita lettrice-bambina, poche immagini mi hanno spaventata tanto come la caccia notturna dei Signori Grigi di Michael Ende, cinerei spettri che se ne andavano in giro avvolti nel fumo dei loro sigari-vita rubando agli uomini tutto il loro tempo.
Ho provato una sensazione simile domenica scorsa, quando in un servizio sul salone del libro di Torino, un giornalista ha dato voce ad alcuni giovani imprenditori che propagandavano un corso finalizzato a insegnare alla gente a "leggere velocemente".
Fino a un libro al giorno, addirittura!!!
Il tutto mentre io, con studiata e goduta lentezza, preparavo luculliani pasti a base di pentolate di ragù, teglie di lasagne e vassoi di sarde a beccafico da conservare nel freezer per giorni migliori.
Mi sono venuti i brividi.
D'altronde può essere che nonostante l'aberrazione semantica (leggere velocemente?!!!), questi aspiranti gestori del tempo altrui non stiano affatto sprecando il loro.
Io, invece, come ho brutalmente scoperto qualche ora fa, domenica ho cucinato 8 ore per qualcuno che non accompagnerà più nessuno dei miei pranzi domenicali, nessuna delle mie cene settimanali.
Il sigaro, intanto, si è consumato un altro po'.
Decisamente ho sbagliato qualcosa.
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martedì 24 marzo 2009

North Star Deserter

Disgraziate situazioni lavorative, e dobbiamo percorrere in totale 280 Km per vederlo.
Andata.
Ritorno.
Io, Mr. Calo e la CA.GA 700 persi e dispersi nel buio delle higways milanesi.
Arrivati a Milano ci facciamo una pizza con Natalia e Filippo e ci avviamo con loro verso il Magnolia, oasi musicale metropolitana adagiata di fronte a un impolverato Luna Park che al Calo ricorda Coney Island, a me Stephenkinghiani racconti di pagliacci assassini.
Entriamo nel locale e ce lo troviamo davanti, Vic Chesnutt, e a vederlo da vicino è impressionante quanto sia minuscolo...gracile e contorto che pare un tronco d'albero spaccato dal fulmine.
Mentre ascoltiamo gli Elf Power fare il loro onesto lavoro di apripista, Vic si intrattiene amabilmente con Filippo, il quale forte del suo rapace istinto da Lester Bangs riesce a strappargli svariati minuti di umanità che condividerà con noi a fine concerto.
Si inizia, come da copione, con Mistery, e si finisce con una bellissima versione di Everybody Hurts, sentito omaggio all'amico e mecenate Michael Stipe.
Difficile descrivere il calore, la fragilità, la potenza...l'enormità, insomma.
Non ci provo nemmeno.
Ripartiamo, correggiamo la rotta un paio di volte, arriviamo ad Acqui alle 3:04 a.m.
Disgraziate situazioni esistenziali, e io non dormo da un mese.
Naturalmente oggi ho un aspetto orribile, lo sbadiglio incontrollato, 3 metri di borse sotto gli occhi.
La prima strofa di Warm, ancora nello stomaco.
E ho detto tutto.
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lunedì 23 marzo 2009

Ossi di Luna

Sarà perchè ho finito da poco Bolano e l'istinto del paragone, se pur su intenti letterari così diversi, esige la sua vittima sacrificale.
Sarà perchè ho sempre detestato, in letteratura come nella vita reale, le facili autogiustificazioni morali ( "ti ho ferito ma l'ho fatto per il tuo bene", " ti lascio perchè non ti merito", "ti abbandono nella merda perchè non posso fare altro"...).
Sarà perchè detesto anche, in letteratura come nella vita reale, la superficiale inadeguatezza del punto di vista...la supponenza del peccatore che, per sua fortuna, non si troverà mai a poter commettere il peccato di cui parla.
O solo perchè ancora mi piace provare il gusto della folgorazione quando nel racconto, dopo pagine e pagine di lettura appassionata, mi viene svelato quello che dovrebbe essere un vero mistero...
Sia come sia, Ossi di Luna, di Jonathan Carroll, è stato una lettura deludente.
Ho comprato questo libro a caso, alla fiera di Torino, perchè:
1. La copertina e il titolo erano belli.
2. Terry Gilliam (che adoro) è suo grande fan, e sul retro, Stephen King e alcuni altri critici si sbrodolavano in complimenti di vario genere..."terrificante", "immaginifico", "spettacolo di magia", il fantasy come non l'avete mai letto...etc...etc...
Ora, riconosco che la comparazione tra Carroll, che fa narrativa di puro intrattenimento, e uno scrittore della taratura di Bolano, è vile e inopportuna, ma la realtà è che non considero Ossi di Luna nemmeno una valida alternativa agli intrighi massonico-clericali di Dan Brown o all'intensità terrorifica suscitata da Alice nel Paese delle Meraviglie.
Dove sono, insomma, l'originalità, la sorpresa, l'incanto narrativo, se dopo la prima ventina di pagine, avevo già capito dove l'autore voleva andare a parare, identificato le doppie chiavi di lettura di tutti i personaggi, e intuito che il punto di arrivo sarebbe stato un fastidioso climax di catartica assoluzione per la (perfetta fin quasi alla nausea) protagonista?!
Non bastano la creazione del Ragazzo Mannaia, di Jack Chili, dei Pesci Yasmuda, a rendere avvincenti le vicende narrate...non basta un'invenzione, se pur brillante, a rendere credibile un intero inventato.
Mi chiedo, quindi: perchè diavolo Terry Gilliam e Stephen King hanno trovato l'universo di Carroll così stupefacente?!!
Mi rispondo:
- forse ho frainteso qualcosa e questo romanzo non è così banale come sembra.
- forse sono intelligentissima e non l'ho mai saputo.
- forse loro erano strafatti di peyote quando l' hanno letto.

Traete voi le vostre conclusioni, io, naturalmente, vado a mettermi in coda per il Nobel.
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mercoledì 4 marzo 2009

Errata Corrige


Eh, si, ci sono cascata anch'io.
Anestetizzata ormai dalla quantità immane di figure di merda a cui Berlusconi ci ha abituati nel corso degli anni, ho subito prese per buone le parole del presentatore di Canal Plus che mal interpretandone il labiale lo rende impietoso oggetto di scherno e derisione agli occhi del mondo intero.
Ma ecco, dimostrando un' incredibile padronanza nell'esercizio della dialettica socratica, il Premier ha subito smascherato la malafede del sedicente giornalista capovolgendo l'antitesi nel paradosso, e portando alla mercè di tutti la cristallina verità:
lui non ha mai detto "ti ho dato la tua donna", ma bensì "ho studiato alla Sorbona".

Berlusconi, quindi, come Richelieu, Marie Curie, Honorè de Balzac e Giuseppe Ungaretti.
Che dire...
Un battutista nato.
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I Deserti di Sonora

"La preghiera delle ossa.
L'anelito della salute.
La virtù del pericolo.
La forza dei dimenticati
I limiti della memoria.
La sagacia delle piante.
L'occhio dei parassiti.
L'agilità della terra.
Il merito del soldato.
L'astuzia del gigante.
Il buco della volontà."

A mio avviso 11 buoni motivi ( ve ne sono molti altri, in realtà ), per leggere "I Detective Selvaggi", di Roberto Bolano (Santiago del Cile, 28 aprile 1953 – Barcellona, 14 luglio 2003) , edito da Sellerio.

La storia, in breve, è quella dei due poeti-detective del titolo e del viaggio che intraprendono attraverso l'America Latina, alla ricerca di Cesarea Tinajero (fondatrice dell'immaginaria avanguardia poetica di cui fanno parte, il "realvisceralismo").
Lunghissimo, diviso in 3 parti, mentre nella prima parte sembra essere "solo" un più che godibile romanzo generazionale, dalla seconda in poi si trasforma in qualcosa di completamente diverso.
Dopo la rocambolesca partenza dei due poeti da Città del Messico, Bolano frantuma violentemente il filo della narrazione e sovrappone, a quelle dei protagonisti, le voci del gran numero di personaggi che hanno avuto a che fare con loro nei vent'anni successivi, generando un senso di sorpresa e rivelazione simile (mi piace immaginare) al getto d'acqua fredda sulla faccia di Helen Keller nel film Anna dei Miracoli.
La trama principale si destruttura e si moltiplica in decine di sottotrame ugualmente importanti, che ruotano attorno a storie di architetti internati in manicomio e prostitute bambine, screanzati editori senz’arte né parte e sprovveduti prigionieri nelle carceri israeliane, fantasmi di poetesse morte adolescenti e tristi fotoreporter persi nella guerriglia Liberiana, intrepidi critici letterari sfidati a duello e marinai accampati in città-dormitorio nelle grotte della Francia occitana...
Voci costrette ad un gioco delle parti in cui, all'improvviso, gli indagatori diventano ( malamente ) indagati.
Voci scomposte ed egocentriche, che usano i racconti sui due poeti per spostare il soggetto narrativo su sè stesse, prepotentemente chiedendo e ottenendo un ruolo da protagoniste all’interno dell’ ”indefettibile" commedia (o tragicommedia) umana, nello stesso modo in cui potrebbe chiederlo e ottenerlo la mia voce, o quella del mio vicino di casa, o quella altrettanto autorevole del mio cane.
Così, lentamente, il generazionale diventa universale, e Bolano, non pago dei già molti strumenti linguistici offerti dalla prosa, prendendo a prestito dalla poesia la potenza evocativa, l'irresistibile musicalità metrica, compone l'universalità in un romanzo surreale e biografico, raffinatamente colto e ironico, commovente e mai ruffiano, che richiede, per lunghezza e intensità, dedizione mentale assoluta e una buona dose di fatica fisica, ma regala in cambio la certezza finale di non averle sprecate.

E non è poco.

Metteteci mesi, anni anche,ma leggetelo, se potete.

Io, dal canto mio, avessi abbastanza coraggio, abbastanza sfacciataggine, o più semplicemente abbastanza fiducia nella gente, smetterei di vendere cubi di cemento e aprirei un locale dipinto di azzurro con una finestra affacciata su un lenzuolo steso, dove riuscire finalmente a ridurre la distanza tra l'attesa e la vita.

Probabilmente, lo chiamerei Los Calamares Felices.
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mercoledì 28 gennaio 2009

Little Fairy Tale of Broccoli

Quando avevo più o meno 5 anni, e le parole degli adulti suonavano ancora nella mia testa come qualcosa di sinuoso e misteriosamente intrigante, mi convinsi che i BROCCOLI fossero non già un ortaggio verde e puzzolente, utilizzato per lo più in ricette culinarie di raffinata bontà, ma bensì una rara specie bovina abitante in gran segreto nell'alloggio dei miei nonni materni, che dal mezzo metro lineare in su, appariva allora come un antico labirinto traboccante di stanze enormi e piene di novità stupefacenti.
La camera dove vivevano i broccoli, era oltre il lungo corridoio ad angolo, oltre la ricca dispensa e la cucina dove la domenica i tortellini in brodo arrivavano ancora in tavola nella zuppiera di porcellana bianca, e a quanto mi era stato raccontato, la mia bisnonna argentino-piemontese l'aveva abitata per molto tempo prima di trapassare serenamente lasciandola per sempre in eredità ai maculati bovini.
Per quel che ne sapevo, anzi, i broccoli potevano essere arrivati lì con lei.
Quando a 15 anni il bisnonno Juan (di almeno 26), l'aveva strappata all'irriverente fatalismo della povertà contadina e l'aveva prima sposata, poi condotta per mare fino all'opulenza delle gastronomie Acquesi, poteva averli portati con sè da quella lontana terra straniera chiusi nel foulard a fiori o in una tasca della gonna.
Comunque, che fossero arrivati dall'Argentina o da un buco nero dello spazio, i broccoli ora vivevano in quella gigantesca e buia camera da letto in Corso Bagni 82.
A poco servivano le innumerevoli, silenziose poste davanti all'uscio, o gli agili scatti felini nell'aprirlo e precipitarmi dentro, volando oltre i 3 scalini che scendevano all'interno...non riuscii mai a cogliere un solo movimento sospetto: una coda che spariva, un occhio che si chiudeva, uno zoccolo che si immobilizzava...
I broccoli, evidentemente spaventati dalla presenza umana, o forse solo infantile, si volatilizzavano non appena la mia manina invadente sfiorava la maniglia della porta.
Quando mia nonna abbandonò l'alloggio di Corso Bagni per trasferirsi in collina con noi, piansi notti intere all'idea che qualcun altro si impossessasse così facilmente e senza merito del mio branco di broccoli.
Ancor più mi disperai quando seppi che il proprietario dello stabile aveva iniziato un'imponente opera di ristrutturazione speculativa su tutti gli alloggi...cosa ne sarebbe stato dei broccoli quando i suoi scagnozzi avessero distrutto a martellate il loro habitat di pavimenti esagonali e finestre di legno bianco?

In effetti, non seppi mai cosa ne fu di loro.
Ma non dubitai mai della loro esistenza.

Nei miei ricordi, quello fu senza dubbio il periodo più sereno di tutta la mia vita: vivevo in quel luogo miracoloso senza legami nè regole, laddove ora vedrei mucchi di ciarpame da riordinare allora trovavo colore e nascondigli sicuri, e se venivo attirata dal rosso delle ciliegie che pendevano a grappolo da uno scaffale della dispensa, nonostante gli ammonimenti degli adulti sui pericoli della vita domestica, non ero certo così pavida da non decidere di arrampicarmi su uno sgabello barcollante per farle coraggiosamente mie!

Riconosco ora, che diventare adulti porta con sè alcuni meravigliosi vantaggi, tra i quali saper distinguere con sicurezza un grappolo di ciliegie mature da uno di spagnolini calabresi appesi ad essiccare.
Invece, dovendo scegliere, chi vorrebbe mai avere in camera da letto una cassetta di verdure maleodoranti anzichè una mandria di mucche invisibili?!